Prof. Davide Scarabelli Via Santi, 1 41026
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Grande successo per la personale dedicata allo scultore

In 5mila al Palazzo Ducale per la mostra di Scarabelli

 

 

 

Oltre cinquemila persone hanno visitato la mostra di circa 80 opere di Davide scarabelli, al Palazzo Ducale, che chiuderà i battenti l’11 ottobre. Un bel risultato per il cinquantenne scultore pavullese presente da oltre 30 anni sulla scena dell’arte e che, soprattutto negli ultimi due anni, ha lavorato con grande impegno per realizzare una quarantina di sculture, anche di grandissime proporzioni, tutte esposte ora nell’accogliente spazio nel Palazzo Ducale che ospita, da molti anni, la Galleria d’Arte Moderna.

E non è tutto: in questo ultimo periodo della mostra si attende anche la visita degli allievi delle scuole medie e superiori di Pavullo, e non solo, (gli interessati possono fare richiesta alla Pro Loco) con un itinerario che sarà illustrato dallo stesso autore. La nostra intervista all’artista, circa due mesi fa, aveva toccato alcune caratteristiche dell’opera del pavullese, intrecciando aspetti umani e aspetti puramente artistici.

Crediamo che sia necessario riprendere quel “Filo” interrotto allora, per tessere ulteriori approfondimenti o, quantomeno, chiarimenti.

La ricerca di Scarabelli si svolge tutta tra il desiderio di dominio sugli oggetti ed un’umile richiesta ad essi di tensioni espressive, di racconti simbolici che investono la vita individuale e quella  collettiva, vicende quotidiane con le cose e con gli eventi anche di impegno sociale (“Notte a Bagdad, verso la libertà”).

Una ricerca sorretta, sul piano stilistico, da una capacità di far tesoro delle esperienze formali innovatrici degli ultimi decenni di questo nostro secolo. E su questo punto concordano critici nazionali (anche Nicola Miceli nel saggio critico del catalogo della mostra) e critici (o, meglio, cronisti) di provincia, come noi che, già in altre occasioni e, in particolare, per la mostra antologica del pavullese a Campogalliano, avevamo richiamato, una decina di anni fa, certe interessanti “contaminazioni” con le macchine schiacciate di César e quelle ribelli di Tinguely, con i “merzbilder” di Schwittes, cche si possono ricondurre all’esaltante esperienza del “ready-made” di  Duchamp.

Naturalmente, il percorso creativo di Scarabelli nasce da una poetica profondamente diversa, anche  se non è esente da certi influssi poveristi e concettuali, con implicazioni con l’evento mentale e riflessioni sul linguaggio stesso dell’arte. Allo scultore pavullese piace l’arbitrarietà irriverente dell’”objet trouvé” che non assurge mai, nella sua individualità, ad opera d’arte, ma viene assemblato con alti materiali.

La volontà costruttiva presiede ad ogni opera in acciaio che si presenta più amalgamata e fusa in una generale ed unitaria immagine, quanto più forte ed intensa è l carica di ironia (tra foro, tamugnotta, libertà provvisoria, pendulo…) che l’autore riesce ad infondere. Il suo cammino, non prive di soste e di continuee curiosità, è  verso approdi positivi per una maggiore coscienza del “fare scultura”, privilegiando la manualità. Infatti “Scarabelli modella oggi il ferro come fosse marmo o morbida creta. Lo fa ricorrendo alla compressione a caldo per ottenere mossi panneggi che interloquiscono – sostiene Miceli – con i conclusi solidi geometrici regolari, soprattutto sferoidi anche di grande diametro”.

 

Michele Fuoco

Mostra dell’artista pavullese al centro culturale di Campogalliano

 

Rottami e tubi prendono vita nella scultura di Scarabelli

 

Appena quarantenne Davide Scarabelli si volta indietro per fare il punto sui suoi vent’anni di attività, attraverso un’antologica allestita al centro culturale Polivalente (scuola media) di Campogalliano, raccoglie le opere più significative che vanno appunto dal 1964 al 1984.

Iniziato alla scultura da Quinto Ghermandi che nel 1964, era a Pavullo per dirigere la scuola artigiana per la lavorazione del ferro e della pietra, Scarabelli guarda con interesse alle esperienze più esaltanti dell’arte contemporanea da cui prende le mosse anche se con una serie di “piazzamenti” che portano ad altro linguaggio, ad un nuovo lavoro costruttivo.

Al pavullese va il merito di aver operato almeno a Modena la rottura con la scultura intesa come obbedienza ai canoni di classicità, della bella figura scolpita in marmo o plasmata con la creta. Scarabelli si distacca dalla bella forma tradizionale facendo ricorso a materiale inutile o quasi, a rifiuti della società industriale, a rottami che legati da un accurato assemblaggio possono ricordare i “merzbilder” di Schwitters e ci riconducono alla “ready-made” di Duchamp, alle macchine schiacciate di Cèsar o a quelle ribelli di Tinguely.

Ogni scultura (ironie, dalla A alla Z, composizione, cattedrale, città) diventa così inseparabile da una sorta di sorpresa, da certe sottili fantasie fabbricate sul gioco deformante dell’ottone dell’acciaio, del legno.

La volontà di esaltare l’oggetto trovato fino a farne, talvolta, una costruzione monumentale (due in uno apriti o Severo, personaggi, sgocciolona), ma la tensione interiore è tale che tutto viene tradotto in chiave di quotidianità e non di epicità.

La “cultura” dei rifiuti, del rottame non è ridotta solo ad un puro e semplice esercizio di stile che pure in tempi non remoti è stata l’unica ancora di salvezza di alcuni artisti avanguardisti. E’ anche è soprattutto senso sottile di dramma anche febbrile e disperato, di dolore da contenere nelle pieghe inattese del materiale più diverso.

Nel recupero di pezzi di macchina, di tubi, di dadi e di bulloni, più che l’intento ironico e dissacrante della civiltà dei consumi si può cogliere piuttosto la speranza di salvare l’umanità dall’incubo di una fatale rovina.

Nelle ultime “pagine di vita” l’impiego delle resine (soprattutto colate di poliuretano espanso) che legano altri materiali, porta il frammento, tolto alla banalità, a dilatarsi oltre l’immagine progettata per acquistare in termini irrazionali, visionari, di volontarie falsificazioni della memoria. Allora la scultura (nuvola rosa, douple-face, spumeggiante) ridotta a quadro pittorico con il colora quasi sgocciolato (è l’influsso dell’informale), che salda il collage e l’oggetto spurio, diventa emblema di un viaggio fantastico oltre il tempo o, se si vuole, un’indicazione del destino dell’uomo.

 

Michele Fuoco